Arrivo qui dopo sei anni di dolore, letto, interventi, ricoveri su ricoveri… insomma con una carriera da “malato” un pochino nutrita. Mi sembra, allora, di poter dire che il dolore logora.
Si insinua nel corpo all’improvviso e lo abita facendovi da padrone; logora il corpo che riduce a una vita minima, sfibra la psiche e lo spirito che a loro volta entrano in quel circolo vizioso per cui psiche condiziona corpo e corpo condiziona psiche. Insomma dopo un po’ si è in un… tunnel.
C’è però una cosa che rende ancora più buio il tunnel ed è più difficile da sostenere del dolore fisico: non trovare una strada, non essere capiti da chi dovrebbe aiutarti, dovrebbe “sapere che fare”, sto parlando dei medici.
All’inizio tutti hanno una soluzione per te, soluzione certa e sicura tranne che… per il dieci per cento, il cinque per cento, il due per cento! Poi capita che per l’unicità misteriosa del tuo corpo o per un passato “fisico” che nessuno ha voluto ascoltare tu ricadi in quel “tunnel”… Inizi così a girare, a cercare fisioterapie, osteopatie, medicine del dolore ma inizi anche a vedere scuotere la testa ai medici che parlano di “dolore cronico”… ne parlano come se fosse un tumore (e te lo fanno vivere così) per il quale non ci sono neppure cure palliative!
Aspetti con terrore la visita medica perché se verrà pronunciata quella parola non ci sarà niente da fare.
Ormai non si cercano neppure più le cause, è una situazione inspiegabile. Forse bisognerà cercare nella psiche, allora ti fanno incontrare una sola volta una persona che già prima di vederti ha fatto la sua diagnosi e riesce a condurre tutto alla sua teoria!
Forse si sarà abbassata la soglia del dolore, perché in fin dei conti “Lei è giovane, è sana!” Perché ho scritto tutto ciò, che è solo una sintesi di ciò che ho incontrato?
Perché qua, in questo reparto, con quest’equipe di medici non è cosi! Infatti nel tunnel più nero e “fatta” di metadone arrivo dall’ennesimo medico a cui presentare la mia sfortuna, vi arrivo sfiduciata, triste e dolorante dopo il lungo viaggio.
E in un’ora e mezza di visita, scopro che quel medico mi ascolta, non solo mi sente, mi guarda, non solo mi vede, non scuote la testa o si fa mio psicologo. Il mio viso si illumina e riesco anche ad accettare di sentire parla di “dolore cronico” a cui egli trova delle possibili cause visitandomi e guardando gli esami (cosa non scontata!).
Mi prospetta una strada, senza garanzie, senza statistiche, ma con ottimismo.
Capisco che guarda a me come persona, non come numero o una cosa, è realistico ma lo preferisco alle false illusioni, prende in mano la situazione! Inizio così a conoscere, a “fidarmi” di questo “nuovo” tipo di medico che mi segue (…) e scopro che (…) c’è tutta un’equipe che lavora così… umanamente: i dottori ti si presentano, leggono la tua cartella clinica, guardano ad ognuno come un caso unico, con un corpo che ha in sé una psiche ferita ma non da giudicare e con una storia che conta quanto il dato clinico. Inoltre si respira anche un bel clima tra loro!
Alla visita medica quotidiana scopri con sollievo che tra loro parlano di te e che il medico di turno non contraddice quello detto da un altro il giorno prima.
Accetti anche di sentir parlare di possibili ricadute, di riprese lente perché sai di non essere abbandonata a te stessa. Forse qua hanno capito che nel corpo non sempre “uno più uno è uguale a due”, ma ogni corpo ha la sua risposta. E c’è anche una psicologa, offerta non imposta, che per di più sorride con dolcezza e fa pensare che quella psicologia in cui tu credi non è scomparsa dagli ospedali! Perdonatemi se mi sono fatta prendere un po’ dalla penna (…) e se ho parlato al passato è per mettere meglio in luce il presente e per augurarvi di non cadere in certi “schemi” che possono paralizzare il malato… (S.)